L’enoturismo dove meno te lo aspetti.
Eh sì, se si pensa a Chiusi, nell’estremo sud della Toscana, in provincia di Siena, l’equazione immediata che viene alla mente è quella con gli Etruschi.
Una visita turistica qui la si progetta, è spontaneo pensare, per far visita al Museo Nazionale Etrusco, famoso per l’allestimento ricco di reperti, canopi e sarcofagi. O perché incuriositi dal misterioso Labirinto di Porsenna e dalla collezione di Codici Miniati Olivetani del Museo della Cattedrale. O attirati dalle particolarissime Catacombe Paleocristiane di Santa Mustiola e Santa Caterina o ancora dalla Città Sotterranea del Museo Civico.
All’enoturismo, no, non ci si pensa davvero…cannibalizzato per altro dalle limitrofe Montepulciano, Montalcino, Cortona, ed anche da Pienza (anche se in questo caso sarebbe più corretto parlare di ciboturismo)… Ed invece, là dove meno te lo aspetti, ta-tan! scatta la molla e si apre una scatola sorpresa! Colle Santa Mustiola.
Chiusi, a saperla tutta, è, da sempre, patria, con più che comprovati diritti paterni, del vino buono: lo racconta già Tito Livio nelle sue Storie, quando scrive di Arunte Chiusino, “export manager” ante litteram e di successo.
Originario della famosa città etrusca, il Chiusino emigrò infatti in Gallia con al seguito ceste di fichi ed otri di vino (autoctono ed indigeno). Vino che tanto piacque agli antichi francesi da convincerli a varcare le Alpi e a scendere fino a queste amene e fruttifere colline, (invadendole e ottenendo ad Arunte la premeditata vendetta ai danni del Lucumone, che gli aveva sedotto la moglie)
Gli Etruschi, si sa, amavano il bello e sapevano godere la vita. E in questo angolo di paradiso non gli mancava davvero nulla…beh, ecco, dove meno te lo aspetti invece ti trovi, degna erede di tale pregiata precristiana produzione, questa azienda, piccolissima: 5 ettari vitati, che, più che vigneto sono un giardino, tanto bene sono curati.
Fabio Cenni muove i primi passi enologici agli inizi degli anni ’90, quando, spinto dal desiderio di valorizzare il patrimonio vitivinicolo dell’azienda familiare, lascia la stimata ed invidiabile carriera di “doc” (svolta come ricercatore), smette il camice di endocrinologo di successo e comincia a fare il vignaiolo. Ottenendo – in brevissimo tempo – altrettanto invidiabile successo.
Sperimentazione, rigore (chirurgico, si può ben dire) in vigna, recupero dei vecchi cloni di Sangiovese che aveva trovato nei vecchi vigneti, comprensione del microclima locale, prove enologiche (anche azzardate), l’impianto di un nuovo vigneto, la cantina scavata nel tufo di una antica tomba etrusca che la soprintendenza ha deciso di lasciargli in gestione. Affinamenti lunghissimi in legno. Amore, dedizione ed enoturismo di ottimo livello: Monica è accogliente, aggraziata. Preparata e sorridente. Mi ha dedicato il suo tempo e la sua esperienza. Mi ha colpito il vigneto, lo ho scritto anche più sopra: è davvero il giardino di casa. Coltivato, si vede, con attentissima cura. Mi ha incantato la cantina ricavata da una tomba etrusca chiusina: cunicoli freschi e giustamente umidi, pregni di carisma misterioso. Molto affascinante la bottaia, ben fornita viste la maturazione in legno di durata pluriennale di questi vini sorprendenti, legni diversi dai molti passaggi, mixati con strabiliante e non comune maestria.
Devo dirvi dei vini? Fascinoso il rosato certo. Ma strabiliante il Vigna Flavia 2013. Non lo nego: ho una predilezione spudorata per questa vendemmia di carattere, che oggi regala bouquet variegato dal frutto rosso di bosco all’ematico fino al balsamico. Ma ci si sente anche della violetta e soprattutto il terreno lacustre ricco, sapidamente limaccioso. Imperiale il Poggio ai Chiari 2011. Tannino morbidissimo su corredo olfattivo strabiliante di mora e frutti di bosco selvatici che abbraccia al sorso freschissimo e richiama alla beva. Una perla del borgo in cui vivo. Bellezza pura.