Enoturismo, tante volte ne ho sentito parlare. Soprattutto in questo particolare ultimo anno.
Ho deciso di sapere di più sull’enoturismo iscrivendomi e frequentando un corso che mi ha chiarito molti dubbi.
Parola spesso abusata, enoturismo, ha un significato ben preciso e come spesso succede quando si ha a che fare con la legge, non è quel che si pensa.
L’enoturismo non è semplicemente una vacanza in zona vitivinicola, è molto di più. Si può definire l’enoturismo come lo strumento che permette ad un territorio e ai suoi attori di farsi conoscere. È una risorsa importante per le cantine e i produttori e non solo di vino.
La parola ha assunto un significato diverso a partire dal 12/3/2019, in seguito alla firma del Decreto legge che stabilisce linee guida, requisiti e standard minimi di qualità affinché un’azienda vitivinicola possa rientrare a pieno diritto nell’attività enoturistica.
Questo Decreto ridefinisce nel linguaggio della legge la parola enoturismo che deve essere intesa come un’attività turistica legata alla viticoltura ed ai prodotti agroalimentari di un territorio. Cibo e vino soprattutto ma non solo. Cultura e arte, sport, usi e costumi. Tutto quanto il territorio può offrire rientra nell’attività enoturistica.
Questo significa creare turismo in aree anche meno conosciute con conseguenti risvolti economici positivi.
Di enoturismo si sente parlare molto dopo questo periodo di lockdown e se ne sentirà parlare parecchio anche nei prossimi anni. Sono cresciute negli ultimi mesi le richieste di visite in cantina ed è cresciuto il fenomeno del turismo lento e di prossimità con esigenza di stare a contatto con la natura.
Importante per le aziende vitivinicole, agroalimentari e alberghiere di un territorio, fare “rete”, studiare strategie per offrire al turista un’esperienza unica ed irripetibile.
Toccare le emozioni del turista, condurlo in una sense and feel experience totalizzante, coinvolgente e memorabile.