Giampietro Comolli e una vita dedicata al vino

Conosco personalmente Giampietro Comolli tramite un amico, di lui avevo letto un infinito curriculum. Sa che lo sottoporrò ad un’intervista. Nasce una lunghissima chiacchierata. Questo il primo estratto.

Guardando la sua storia vedo una grande coerenza. Lei ha sempre pensato di intraprendere un percorso nel mondo del vino oppure è inciampato in questo percorso?

Sono inciampato, anche se vengo da una famiglia in cui si produceva il vino. Io stesso nel 1974 ho cominciato ad imbottigliare le mie prime 12.000 bottiglie. Avevo tre clienti in tutto, amici di mio padre, uno a Torino, uno a Milano e uno a Bologna. 

Con diciassette ettari di vigneto producevo un vino frizzante, ed ecco che nel mio DNA è rimasta questa effervescenza. 

Ho smesso di produrre, per deontologia professionale, quando ho cominciato a lavorare nel settore vino. Mi sono interessato proprio di bollicine ed ho smesso di fare il produttore. 

Nel 1983 mi sono sposato ed uno dei miei viaggi dopo il matrimonio è stato nello Champagne e nel Cava. Ero già laureato coi master in economia e politica agraria ed in marketing industriale ed avevo iniziato a lavorare in Coldiretti con l’incarico nazionale delle strade del vino. Invece di andare in Oltrepò Pavese sono andato in Francia e in Spagna a scoprire come lavoravano. Da lì ho iniziato ad appassionarmi al modello di vita e di lavoro del viticoltore. Dal 1986 mi interesso quasi esclusivamente di vino. 

Il prof. Fregoni mi ha poi fatto diventare ricercatore. Avevo fatto la mia gavetta in famiglia e quando sono entrato nel mondo del lavoro, ho avuto la fortuna di partire molto in alto, sono inciampato bene. Devi inciampare alto per riuscire.

Mio padre è morto quando ero giovane, avrei voluto fare il medico, ma per i miei parenti sarei dovuto necessariamente essere la terza generazione di agronomi. 

Il suo primo incontro con il vino.

Ho succhiato all’età di undici anni una cialda di solfato che mio nonno aveva messo nella bocca della damigiana. 

Il secondo? Siamo andati oltre la cialda?

Da un punto di vista degustativo fu un vino che mi fece provare a quindici o sedici anni un mio amico più grande, Domenico Braghieri. Eravamo a Milano, al Nepenta, per incontrare due suoi amici, Gigi Rizzi e Beppe Piroddi. Loro avevano con sé una bottiglia di vino bianco. L’hanno presentata come il miglior vino bianco d’Italia. Era un Gavi, dei parenti di Mario Soldati. 

Il mio primo bicchiere, una semisbronza, a sedici anni.

Il secondo calice di vino è stata una conferma?

Dopo il primo calice, è stato mio padre ad avvicinarmi al vino con un Verdicchio di Fazi Battaglia. Per sei o sette anni divenne la bottiglia quasi quotidiana. 

Cos’è il vino per lei?

Cultura. Perché rappresenta tutto quello che l’intelligenza umana, la capacità umana riesce a mettere a frutto dal prodotto raccolto, anche selvatico, al prodotto finito, completo, pronto per il consumo. Racchiude talmente tanti passaggi, talmente tante figure, talmente tanti equilibri, di contaminazione, di scambi, di prove che secondo me è uno dei grandi esempi che rappresentano quella grande forza culturale dell’uomo. L’uomo attraverso la contaminazione, la ricerca di conservazione del cibo ha creato dei prodotti che sono meravigliosi. 

Il ricordo più emozionante legato al vino

Non posso raccontarlo. Un ricordo molto vivo e molto bello, meraviglioso.

Quello più effervescente?

Non posso raccontarlo

C’è una storia di quelle che lei ha visto da vicino, di una famiglia, di un progetto, che le è stata particolarmente a cuore, che ha seguito con passione, con empatia.

Si, diverse.

La Franciacorta. C’è ancora la mia impronta, dopo vent’anni. Lo vedo da come scrivono gli articoli. Ci sono ancora le mie frasi, riportate alla lettera. Credo questo sia sinonimo di un segno forte, che ho lasciato in termini concreti sul territorio. 

Subito dopo, quando ho costituito il forum spumanti d’Italia Valdobbiadene e costituito l’associazione Alta Marca, un consorzio di secondo grado che raccoglieva le piccole aziende del Prosecco. Lì ebbi l’idea di parlare di colline del Prosecco. L’obiettivo era di creare colline del Veneto e colline del Prosecco come se fossero sinonimi,  in modo di considerarle come un bene collettivo che andava assolutamente tutelato. Nel 2009 ci siamo finalmente riusciti. 

Il ricordo più bello come impresa, il Gruppo Ferrari. Ho guidato per tre anni un’azienda bellissima, quattro marchi meravigliosi, famiglia stupenda, dipendenti meravigliosi. Azienda molto dinamica e molto combattiva anche all’interno, quindi stimolante quotidianamente. Ho instaurato con loro un rapporto davvero molto bello. 

Ho un unico rammarico, pensavo di sviluppare per loro il marchio Lunelli, per me era giunto il tempo. Era arrivato il momento di sviluppare qualcosa di nuovo, che si sganciasse dalla genialità e dall’importanza di Giulio Ferrari. 

Proposi di estendere l’azienda oltre il territorio di Trento. La mia proposta lasciò molti dubbi. 

La sua storia senza vino

Sentimentale?

Sono facile all’innamoramento inteso come curiosità. La curiosità è sinonimo di intelligenza. L’intelligenza è nella curiosità di leggere un libro come di incontrare una persona.