I vini di ghiaccio, anche conosciuti come Icewine, fanno in qualche modo parte della famiglia dei passiti.
Le uve per la produzione di questi particolari “vini di ghiaccio” vengono lasciate maturare sulla pianta e vendemmiate durante le fredde notti, quando le temperature basse, sotto i -7 gradi, congelano l’acqua all’interno degli acini, separando gli zuccheri e le altre sostanze estrattive.
La vendemmia deve essere rapida così come il trasporto delle uve ai locali di pigiatura. Il mosto che ne deriva è particolarmente concentrato, con una contenuta gradazione alcolica ma nello stesso tempo straordinaria freschezza. La fermentazione è lenta e la vinificazione avviene di solito in vasche di acciaio per preservare i sentori fruttati.
Affinché si possa produrre un icewine o vino di ghiaccio, però, è necessaria anche la condizione per cui durante la maturazione fenologica dell’uva, le stagioni non siano anomale, con picchi in rialzo ed in ribasso delle temperature, le piogge primaverili non siano eccessive, l’autunno non sia caldo.
Se i cambiamenti climatici, con l’innalzamento delle temperature, portano le cantine spumantistiche a spostare le viti, dove fa più fresco, non c’è scampo per le già poche aziende che producono Icewine. La Germania ha quasi azzerato la produzione, vedendo una sola cantina, quest’anno produrre i vini di ghiaccio.
In Italia questi vini erano già una rarità e nell’ultimo decennio le già poche aziende hanno abbandonato la produzione per dedicarsi ad altro. A queste si aggiunge, quest’anno, cantina Baricchi, in Piemonte, che ha diversificato la produzione, destinando le uve da eiswein ad uno Spumante Cuvée. Andrò a trovarli, per assaggiarlo e riassaggiare le loro meravigliose riserve di Barbaresco.
Cave Mont Blanc de Morgex et la Salle, in Val d’Aosta, è invece, a fatica, sul mercato, così come Ronsil di Chiomonte, in Val di Susa.
Ma per quanto ancora? Cosa succederà? Assisteremo alla nascita di nuove zone vinicole in posti impensati della terra? Ridisegneremo la geografia vitivinicola?