Intorno al mondo dei vini rosati ci sono tante leggende, la più accreditata e, sembra corrispondente al vero, vede come protagonista un prete che viveva in un piccolissimo paese, sulle rive del Lago di Garda.
Questo prete, molto pigro e molto furbo, non coltivava l’orto della Chiesa e viveva esclusivamente accontentandosi di poco, di ciò che i compaesani gli donavano, frutta, verdura e vino, indispensabile per le funzioni religiose.
Questa situazione venne sostenuta fino a quando i compaesani, decisero di abbandonarlo al suo destino. Senza perdersi d’animo, il prete, iniziò a trovare sistemi alternativi per il proprio sostentamento.
Nel periodo della vendemmia, l’uva raccolta veniva versata sui tini posti in grandi carri. A fine giornata, i carri venivano riposti sull’aia padronale in attesa della fermentazione.
Il prete, nascosto, al calare della sera, riuscì a bucare un tino. Il liquido liberato, non essendo stato troppo a contatto con le bucce, si presentò con un colore decisamente più scarico rispetto al consueto rosso.
Il prete venne scoperto, ma gli venne riconosciuta la “creazione” del vino rosato e da quel momento i contadini misero in produzione un vino proprio scarico di colore.
Nella realtà, l’origine del vino rosato è contesa tra Italia e Francia.
Qualcuno sostiene che i vini rosati siano nati in Italia, più precisamente in Puglia, attuale patria dei vini rosa. Nel 1943 l’azienda Leone De Castris produce il suo primo rosato, il Fives Roses, commercializzato in Italia ed esportato anche negli Stati Uniti.
Oggi uno dei vini più conosciuti in patria e all’estero, si ottiene da grappoli di Negroamaro per il 90% e Malvasia Nera per il 10%.
Altri sostengono che i vini rosati siano nati in Francia, come alternativa dissetante all’acqua. Da qui il nome Vin de soif.
Ritengo sia doveroso precisare intorno a questo dibattito che il primo Champange rosé ideato e realizzato da Madame Cliquot, ha compiuto 200 anni.