La Cricca è la storia di un incontro, quello tra i Winefathers, crowfunding a sostegno dei migliori vignaioli italiani, creato da due ragazzi, Luca Comello e Luca Latrino e l’enologo Giacomo Orlando. Giacomo, tecnico talentuoso, in grado di produrre vini d’eccellenza sente il bisogno di realizzare qualcosa di nuovo e di condividere il suo progetto. I due Luca, sono alla ricerca di idee innovative.
Formano un gruppo, la Cricca a cui si aggiunge nel corso del tempo anche Paolo, appassionato di vini e fondatore del Wine Club di Lauzacco.
Senza abbandonare il progetto di Crowfunding a sostegno delle aziende, La Cricca, muove i primi passi nella produzione di vino. Poche bottiglie, tutte numerate per valorizzare al meglio le espressioni del territorio. Craoretto è una piccola frazione di Prepotto, in Friuli, un luogo di confine, di incontro: tra i Colli Orientali e il Collio, Italia e Slovenia, vento delle Alpi e brezza dell’Adriatico. Un luogo magico, dove questi quattro ragazzi portano avanti il loro sogno.
LC: Luca Comello
PP: Paolo Pinos
LL: Luca Latrino
GO: Giacomo Orlando
“Cricca” è un termine particolare, che solitamente evoca un unico obiettivo e compattezza nel raggiungerlo, talvolta a danno di altri. Chi ha pensato questo nome?
LC: Ci abbiamo lavorato insieme, ma se non ricordo male l’idea è partita da me. Mi piaceva il concetto della cricca, e mi sembrava che il nome suonasse bene. Vini La Cricca: suona bene no?
PP: Sono entrato nel gruppo che il nome era stato deciso. Però direi che ci identifica alla perfezione.
LL: Non ricordo chi l’ha messo sul piatto… Giacomo? Di sicuro siamo stati tutti d’accordo perché ben rappresenta l’essersi ritrovati per “costruire” assieme “un qualcosa”. Di sicuro non vogliamo farlo a scapito di nessuno.
GO: La moglie di LC? Però io l’ho sposato.
T: come siete arrivati al mondo del vino?
LC: Ciascuno secondo un proprio percorso, che non nasce direttamente nel mondo del vino. Con una grande passione però, quella sì. Passione per il vino e per l’innovazione, e quindi voglia di fare qualcosa in questo mondo ma con un approccio diverso.
PP: Mi è sempre piaciuto condividere con amici un buon bicchiere di vino e grazie a LL, LC e GO ho avuto la possibilità di cimentarmi in questa nuova grande avventura.
LL: dal nulla! Luca un giorno mi ha proposto il progetto The Winefathers e da lì siamo partiti. Diverse volte ci siamo trovati a parlare di cosa avremmo voluto fare da grandi, sempre attorno a un bicchiere di vino… e dal bicchiere di vino siamo partiti.
GO: Affascinato, quasi folgorato, da piccolo dalla vita agreste e in particolare della vigna e della cantina. È stato un corteggiamento rapido, a 13-14 anni avevo già deciso cosa fare della mia vita.
T: Raccontatemi il vostro primo ricordo legato al vino
LC: Mi ricordo quando ero piccolo e la domenica andavo dai miei nonni. Insieme a pane, salame e formaggio c’era sempre un bicchiere di vino della casa. Per me era qualcosa di proibito ma attraente. Qualche volta lasciavano che ne assaggiassi un piccolo sorso. Quei sapori, quei profumi, me li ricordo benissimo, mi tornano spesso.
PP: I pranzi dai parenti. Avevano una enorme pergola in giardino e in tavola non mancava mai l’uva. Inoltre, a livello molto artigianale si produceva un semplice vino da tavola. Il ricordo mi accompagna ancora.
LL: Le vendemmie dai nonni. Quarant’anni fa tutti in Friuli avevano qualche filare di vite nell’orto per poter poi fare il vino a proprio consumo. Il prodotto non era certamente di alta qualità però non era quello l’importante. Durante la vendemmia in famiglia si ripeteva un rituale magico.
GO: Non saprei mettere in ordine cronologico, comunque ricordo di una cena per una cerimonia, mi sembra la Cresima di mio fratello, ed io presumibilmente undicenne domandando a mio padre insistentemente che mi versasse da bere, mi ritrovai con un bicchiere colmo di vino. Evidentemente era stato versato erroneamente. Io, sconvolto positivamente, dissi nel mio dialetto “ciò, vin me ga da” e da quel giorno ritenni di aver ottenuto il nulla osta per bere vino.
T: Il primo incontro con il vino, il primo assaggio.
LC: Mi ricordo un Vinitaly, credo fosse il 2014, quando avevamo deciso che il vino sarebbe stato il nostro settore. Ci andai con grande entusiasmo, ma ne uscii stordito: volendo provare tutto, non ero riuscito a concentrarmi su niente.
PP: Francamente non ricordo il primo assaggio è passato tanto tempo e tanti altri assaggi… ma ricordo molto bene quando ho assaggiato il nostro magico Friulano
LL: Quando da piccolo mi fecero assaggiare quella bevanda scura, in casa il vino era solo rosso! All’inizio erano bicchieri con tanta acqua e una goccia di vino!
GO: Il primo assaggio è stato sicuramente originale: la comunione in una messa di rito bizantino che viene data sotto le due specie pane e vino consacrati, ancora prima del ricordo precedente, probabilmente settenne.
T: Ed il secondo? È stata una conferma?
LC: Mi ricordo un pomeriggio estivo da Marco Cecchini, nostro amico vignaiolo di Faedis. Fui affascinato dalla capacità di Marco di raccontare i suoi vini, e ovviamente dai vini, soprattutto dal Tovè.
PP: È stata la conferma del primo!!!
LL: Diciamo il primo bicchiere di vino non allungato con l’acqua? Quel senso di stordimento che ti faceva subito capire che il prodotto meritava rispetto.
GO: Direi di sì… Ricordo che sempre bambino andavo da un compaesano, la cui moglie era nostra babysitter, mandato dai miei, a prendere un po’ di vino rosso per casa. C’erano botti di legno annerite dalla muffa, ricordo bene l’odore, dovessi descriverlo oggi direi che quel vino aveva la volatile alta e difetti da brettanomyces, ma allora non lo sapevo. Ricordo questo fascino ambivalente tra qualche sensazione positiva e qualcuna negativa. Prevaleva sempre la voglia di tornare ad assaggiare, perché il profumo di fermentazione, l’odore vivo del vino e la sensazione che ti scaldasse il cuore e l’anima ad ogni sorso andavano oltre ai piccoli difettucci.
T: Cos’è il vino per ciascuno di voi?
LC: Per me è un piacere come pochi, ed è condivisione: i racconti più belli nascono attorno a una bottiglia.
PP: Un piacere irrinunciabile.
LL: Una gratificazione. Come tutti sanno, dopo una giornata di lavoro, bersi un buon calice di vino allenta le tensioni, soddisfa il palato e rinfranca lo spirito.
GO: Comunione, amicizia, vita
T: Il ricordo più emozionante legato al vino
LC: Quando i nostri vini entrarono nella guida Vini D’Italia del Gambero Rosso. Una soddisfazione incredibile e del tutto inaspettata. Mi ricordo ancora l’emozione di quando aprii la mail… e poi corsi in libreria per vederlo davvero.
PP: I riconoscimenti avuti quest’anno sulle guide.
LL: Il primo imbottigliamento. Tenere tra le mani per la prima volta la propria bottiglia, con la propria etichetta, è stata una vera emozione. Non voglio dire come tenere in braccio un figlio… ma una propria creatura sì.
GO: Probabilmente non lo ricordo…
T: Quello più “effervescente”?
LC: La partecipazione a Ein Prosit a Udine, la nostra prima uscita in fiera.
PP: Le bevute in cantina all’inizio di ogni annata.
LL: Quando sono andato la prima volta al Vinitaly. Che emozione e quanta confusione! In quella occasione ho partecipato da visitatore ma ho capito subito che eravamo entrati a far parte di un mondo immenso popolato da un numero infinito di etichette. Rapidamente avremmo dovuto decidere la strada migliore per distinguerci dagli altri.
GO: di certo non legato a un “prosecchino”.
T: Un aneddoto legato al vino che vi sta a cuore?
LC: La nascita del nostro Pinot Bianco, che oggi tutti ci riconoscono come un prodotto unico. Ebbene, nacque un po’ per caso e un po’ per intuizione. Avevamo talmente poca uva di Pinot che non avremmo potuto riempire un serbatoio, e così decidemmo di utilizzare una piccola botte usata. Da lì nacque il nostro Pinot Bianco barricato.
PP: A cena lo scorso inverno in ristorante quotato, di un nostro cliente, una tavola da due persone in sala sceglie il nostro Busart e l’orgoglio di vederne arrivare un’altra con i relativi complimenti.
LL: La prima vendemmia fatta per raccogliere le uve “La Cricca”. È stata un’autentica festa! Prima il lavoro duro nei campi e poi la grigliata tutti assieme. Ricordo che il pranzo quel giorno è durato molto più della vendemmia.
GO: Direi che ho già risposto col mio primo ricordo.
T: Ed una storia legata al vino che ti sta a cuore?
LC: Le storie di chi sostiene il nostro progetto diventando nostro parente: italiani, ma anche tanti stranieri, soprattutto americani. Quando vengono in cantina e ci conosciamo, quando ci sediamo attorno al tavolo, nascono sempre dei momenti indimenticabili.
PP: L’inaugurazione del Wine Club coi nostri vini. Doppio motivo di soddisfazione.
LL: L’incontro coi nostri parenti virtuali è sempre una grande emozione. Sono venuti a trovarci persone da tutto il mondo.
GO: Oltre alla mia? È di fantasia ma sicuramente il film Il profumo del mosto selvatico. Vino, vite e vita legati indissolubilmente.
T: Raccontatemi la vostra storia
LC: La storia nasce da me e LL, amici per la pelle di lunghissima data. Nel 2014 lanciamo il progetto The Winefathers, un crowdfunding per sostenere i progetti di vignaioli artigianali italiani. Il progetto ci dà enormi soddisfazioni e soprattutto ci fa innamorare del mondo del vino, tanto che stare dietro al computer non ci basta più: vogliamo fare il nostro vino. Poi ci sono i casi della vita: ad un pranzo di Natale veniamo in contatto con Giacomo, giovane enologo talentuoso, che lavora presso una cantina friulana ma ha il desiderio di produrre il suo vino. Ci diciamo di farlo insieme… e così cominciamo. Poi è entrato anche Paolo, un altro amico, perché La Cricca è un progetto ma anche e soprattutto la storia di un’amicizia.
PP: Mi occupo della parte commerciale. Sono quello che si consuma le suole per cercare sempre nuovi clienti. Anzi, serve del vino?
LL: Per La Cricca seguo l’amministrazione. Ma non solo, qui tutti fanno tutto. La parte più divertente è fare le consegne ai locali perché così posso parlare coi gestori. Mi piace chiedere come sta andando il vino, se piace e sapere cosa dicono i clienti.
GO: Sono l’enologo. Però non direi che sono solo quello che “fa il vino”. Dietro ogni etichetta c’è un progetto che viene condiviso a otto mani. Cosa vogliamo esprimere col nostro prodotto? Cerco quindi di interpretare al meglio “l’idea”.
T: Ora raccontatemi la vostra storia senza vino
LC: Io sono un ingegnere gestionale. Ho 3 bimbi: Giovanna, Nicola e Lorenzo. Nel tempo libero… non c’è tempo libero, perché c’è La Cricca!
PP: Lavoro in banca, gestisco un Wine Club all’interno del bar di mia moglie. Ho tre figli. Ho detto tutto mi pare.
LL: Il mio lavoro “ufficiale” è completamente diverso. Sono geometra e lavoro per un istituto di credito. Sono sposato e ho una figlia. Nel tempo libero mi piace fare attività fisica, correre in particolare… e con La Cricca si corre parecchio!
GO: Secondogenito di insegnante di musica, pianista ed organista (madre) e teologo iconografo (padre), fratello maggiore di 3 anni con cui mi sono amabilmente (a volte anche no) picchiato emulando Kenshiro o L’uomo tigre e sorella di 8 anni più giovane a cui ero molto legato fino al suo primo fidanzato. Non essendo proprio una persona a modo la domanda che mi è stata rivolta scherzosamente più spesso é: ma come sei potuto venire fuori così dalla tua famiglia perbene? Ho un figlio di 12 anni a cui sto insegnando ciò che ho ricevuto: la libertà, la voglia di indipendenza e la volontà di lavorare (nel senso di labor, di sfaticare per stare bene). Per ora mi fermerei qui.
T: Raccontami Il territorio dei vostri vini
LC: I nostri vini nascono proprio al confine tra i Colli Orientali del Friuli e il Collio. Verdi colline non troppo battute dal turismo di massa, e quindi meravigliose con le loro dolci pendenze e gli scorci che si aprono d’improvviso. Colline che danno frutti eccezionali e che per questo vanno fortemente rispettate.
PP: Cosa dire? Venite a trovarci e capirete che non abbiamo nulla da invidiare a territori ben più blasonati.
LL: I Colli Orientali del Friuli sono luoghi magnifici. Come ben sapete si collocano in posizione strategica a metà strada tra le montagne e il mare.
GO: Ho vissuto dall’età di 5 anni fino ai 23 circa in un paese sul Carso a poche centinaia di metri dal confine. Ricordo le esplosioni ad inizio anni 90 che abbatterono le torrette della Yugoslavia sul confine con l’Italia che io vedevo dal giardino di casa, nella guerra lampo per l’indipendenza della Slovenia. Un piccolo paese dove mi sentivo straniero a volte, perché sentivo le persone o i bambini e i ragazzi che parlavano un’altra lingua quando non volevano farsi capire. Ma anche il paese di Claudio e suo figlio Saša, nella cui casa, vigna e cantina sono stato accolto e grazie ai quali ho iniziato il mio percorso vitivinicolo e di vita.
T: Cosa significa per voi terra di confine. Cosa sono per voi i confini?
LC: Per me terra di confine significa che quando ero bambino il sabato prendevamo la macchina e andavamo in Yugoslavia, distante appena 40 minuti. Lì facevamo benzina e compravamo la carne e lo yogurt, pagando con un’altra moneta e sentendo parlare un’altra lingua. Questa cosa ce l’abbiamo dentro.
PP: Sono semplicemente linee immaginarie, luoghi da esplorare e ben che ci rappresentano in questo progetto.
LL: Non ho mai identificato il confine come una barriera ma più come un punto di incontro tra diverse culture.
GO: Delle linee a volte difficili da superare e a volte incredibilmente superflue, con un bellissimo valore se servono a mantenere delle identità e delle peculiarità, che viene meno se ci si dimentica di tutta la storia e si raggiunge con la memoria al massimo il secolo (terribile) scorso.
T: Raccontatemi i vostri vini
LC: Facciamo tre bianchi: il Friulano, il Pinot Bianco e il Busart, che è un blend di Friulano, Pinot Bianco e Sauvignon. Raccontarli in poche parole è difficile: posso dire che sono piuttosto diversi tra di loro, anche se si riconosce la mano di Giacomo, il nostro enologo. Credo siano come delle tele che rappresentano il nostro territorio da varie angolazioni.
PP: Sono eleganti ma non sofisticati. Sono… li devi assaggiare!
LL: Ti fornisco una descrizione non didattica. Il Friulano è il vino per tutti i giorni. Non che sia banale, anzi. Si accompagna bene a gran parte dei piatti. Il Pinot è il vino che stappo quando mi voglio coccolare. Per me funge da vino da meditazione. Il Busart è il vino per le occasioni speciali. Cena con il proprio partner?
GO: Da artigiano vinifico ciò che la vigna dà, mi sento di interpretare qualcosa che è già intrinseco nell’uva. Fondamentale che siano ben distinti l’uno dall’altro e il fatto che un vino sia importante non sia contrapposto alla sua bevibilità o quotidianità.
T: Aneddoti legati ai vostri vini… (raccontati a voi da chi li ha bevuti, tipo…)
LC: Posso dirti che il nome Busart significa bacio in Friulano arcaico e che a noi piace descriverlo come il vino dell’amore. E che qualcuno, dopo averlo testato sul campo, ci ha confermato che è proprio così…!
PP: Beh, in bar ne sento di tutti i colori. Il vino è un prodotto che si lascia parlare. Non è forse questo il bello?
LL: Quando l’anno scorso ci hanno comunicato che eravamo stati inseriti nella guida di Slow Wine tutti noi ci siamo fiondati nella prima libreria per verificare se era vero. La stessa cosa è avvenuta quando subito dopo è uscita la guida del Gambero Rosso con un’ottima recensione dei nostri vini. Questo nostro modo di fare mi fa sorridere: in fondo siamo proprio dei bambinoni!
GO: Mi pare che la storia del nostro incontro sia un bell’aneddoto, no?
T: Ogni bottiglia è numerata. Scelta molto importante.
LC: Sì, ogni bottiglia ha un numero. Ne facciamo 4.000 in tutto, non è impossibile. Dà il senso del valore e del rispetto che merita ogni singola bottiglia.
PP: È una scelta che viene molto apprezzata dal cliente che ha un elemento in più percepire il valore del prodotto.
LL: Sì, è stata una bella intuizione di LC. Questo ci permette di dire che ogni bottiglia è unica. Non arriveremo mai alla produzione industriale. Non è quello che vogliamo dalla nostra esperienza nel mondo del vino.
GO: Ogni bottiglia è un regalo unico.
T: Che poesia c’è dietro ogni bottiglia?
LC: Ci è sempre piaciuta l’idea di descrivere i nostri vini non da un punto di vista tecnico, ma tramite le sensazioni che evocano. Così è nata l’idea delle poesie. Le ho scritte io. Ci piace pensare che le persone, degustando i nostri vini, possano lasciarsi trasportare dalle emozioni.
PP: Il vino è cibo per l’anima. Una piccola poesia dà il suo contributo a saziare la fame.
LL: Chiedete a LC! Di sicuro fanno colpo! Le nostre bottiglie sono sexy!
GO: Una poesia che descrive in modo emotivo e non tecnico un vino.
T: Etichetta, cosa rappresenta?
LC: Anche quella ce la siamo fatta in casa, grazie al lavoro di mia moglie Elisa. È una stilizzazione dell’opera “I giocatori di carte” di Cezanne. C’è il senso di comunità e condivisione, c’è il vino, c’è un richiamo alle immagini delle osterie friulane.
PP: Sono LC e LL al tavolo. Non li avevi riconosciuti?
LL: L’etichetta è in linea con il nome La Cricca e col nostro modo di fare genuino.
GO: cit. “Imbriagoni de Sezana”.
T: Siete sempre stati appoggiati nelle vostre scelte?
LC: Sì. Anche se è un progetto totalizzante, che porta via anche il poco tempo libero, la mia famiglia mi ha sempre appoggiato.
PP: Siamo sempre stati liberi di scegliere e questo vale molto più di un appoggio
LL: Dalla famiglia? Sì, chi mi sta vicino sa che voglio sempre qualcosa di più dalla vita.
GO: No, a parte che da mio padre che riuscirebbe non dico ad appoggiarmi ma a giustificarmi anche se uccidessi qualcuno. Però non ho mai avuto i bastoni tra le ruote a sufficienza per farmi smettere
T: vi è mai capitato di dire basta?
LC: Per ora no! Preferiamo andare avanti a piccoli passi: poche bottiglie, investimenti mirati. Credo che questa sia la strada giusta per un cammino sostenibile.
PP: No ANZI… abbiamo appena iniziato a divertirci…
LL: Ogni giorno! Seguire un progetto come La Cricca è faticoso ma per fortuna gli sforzi sono ben ripagati. È importante vedere che progrediamo costantemente.
GO: Alla seconda bottiglia da solo, nonostante i pochi solfiti.
T: Cosa vi spinge ad andare avanti?
LC: La passione e i riscontri entusiasti dei clienti. In questo periodo di lockdown, ad esempio, è stato davvero gratificante vedere sui social quante persone hanno aperto le nostre bottiglie e hanno voluto farlo sapere al mondo!
PP: La voglia di stupire noi stessi.
LL: Il mondo del vino mi piace. Mi piace soprattutto perché mi permette di incontrare persone che difficilmente avrei incontrato rimanendo chiuso in ufficio. Il progetto La Cricca poi ci costringe a rimetterci continuamente in gioco, a trovare nuove soluzioni, a proporre il vino in modo diverso. Ci piace l’idea che è possibile fare innovazione vendendo vino.
GO: A questo punto mi sembra superfluo. Mi chiederei piuttosto: se non ce la fai autonomamente, quanti lavori sei disposto a fare pur di non abbandonare il tuo sogno?
T: Una parola nel mondo del vino che vi piace
LC: Fruttato.
PP: Rumore: dove regna il vino non regna il silenzio!
LL: Tappo! Fa allegria, no? Soprattutto quando viene stappato.
GO: Terroir. Non sono esterofilo però questo termine ben rappresenta un territorio e i vari tipi di vino. Per di più personalmente in questo termine includo sempre anche la cultura di una zona, da cui vini diversi da territori simili (Colli Orientali, Colli, Brda ad esempio).
T: Una che vi rappresenta
LC: Sincerità.
PP: Ghiaccio. I vini mi piacciono belli freschi.
LL: Sneakers. Difficilmente mi vedrete con un altro paio di scarpe.
GO: Assaggiatore professionista