Esiste un dibattito molto acceso nel mondo del vino; è quello intorno alla vite PIWI.
Pilzwiderstandfähige, significa resistente ai funghi ed indica i vitigni ibridi capaci di difendersi in maniera spontanea da peronospera e oidio senza trattamenti.
I vitigni PIWI (abbreviazione di Pilzwiderstandfähige) nascono quindi dall’esigenza di risolvere il problema della proliferazione dei funghi nel vigneto riducendo o annullando il ricorso a fitofarmaci o all’applicazione di rame e zolfo.
Il rame è un metallo pesante, per quanto ammesso il suo utilizzo in parcentuali stabilite dalla legge, è indegradabile e tende ad accumularsi nel terreno invadendo la falda acquifera.
L’ibridazione, vale a dire la fecondazione fra specie di viti geneticamente affini rappresenta una strada alternativa.
Come avviene l’ibridazione?
Si feconda il fiore con un polline selezionato. Una volta ottenuti i semi, si procede con la semina. Una volta che le piantine germoglieranno si procederà ad effettuare le analisi. Queste nuove piante dovranno presentare la resistenza ai funghi di alcune specie asiatiche o americane mantenendo le caratteristiche e le qualità organolettiche della vite europea. Il processo di selezione non è per nulla rapido. Recentemente è stata introdotta una nuova tecnica in grado di individuare, già dal seme, la tipologia di resistenza.
L’impiego dei vitigni PIWI permette un minor impatto ambientale oltre che la possibilità di impiantare le viti in territori difficili da lavorare e con grandi pendenze.
La maggior parte dei vitigni PIWI è di origine tedesca. È stata infatti la Germania il paese che più di altri si è dedicato alla selezione dei vitigni resistenti ai funghi.
Nell’anno 2000 è nata in Europa l’associazione PIWI International che conta più di 350 membri, con lo scopo di consentire la diffusione di questi vitigni e di fornire informazioni utili a istituti di ricerca, coltivatori e produttori.
La legge della Comunità Europea consente la produzione di vini a denominazione di origine solo da Vitis Vinifera. Permette l’utilizzo dei vitigni resistenti nella produzione di vini comuni o IGT.
Non conosciamo cosa succederà in futuro con l’impiego di questi vitigni. Le perplessità maggiori nascono sull’interrogativo intorno alla capacità dei PIWI di rappresentare il territorio con complessità ed eleganza.
Per quanto riguarda l’Italia, alcuni studi sono stati condotti in Trentino, all’interno di un importante progetto di ricerca: VEVIR messo a punto dai tecnici della Fondazione Edmund Mach, coordinato dal Consorzio Innovazione Vite (Civit) con le aziende Cavit, Mezzacorona ,Cantina di Lavis e Cantine Ferrari.
In uno studio durato tre anni, sono state testate oltre 30 varietà di viti resistenti, sette di queste si sono dimostrate performanti: Solaris, Souvignier Gris, Pinot Regina, Nermantis, Termantis, Valnosia e Charvir. Le viti rappresentano una grande opportunità per le aree in cui i trattamenti fitosanitari costituiscono un grosso limite oppure dove la pendenza elevata non consente la meccanizzazione.
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